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статья

Claudio Mutti

Hyperborea

Degli Iperborei, il popolo che dimorava nell'estremo Settentrione, si trova menzione presso numerosi autori dell'antichitа latina e greca.

La prima testimonianza risale a Ecateo di Mileto (VI sec. A. C.), che li situa all'estremo nord della terra, tra l'Oceano e i Monti Rifei.

Dati analoghi, ma piщ ampi, vengono forniti da Erodoto, che scrive: "Aristea di Proconneso figlio di Castrobio, componendo un poema epico, disse di essere arrivato, invasato da Febo, presso gli Issedoni e che al di lа degli Issedoni abitano gli Arimaspi, uomini monocoli, e al di lа di questi i grifi custodi dell'oro, e oltre a questi gli Iperborei, che si estendono fino ad un mare. Tutti costoro, eccetto gli Iperborei, a cominciare dagli Arimaspi aggrediscono di continuo i loro vicini; e cosм dagli Arimaspi furono scacciati dal loro paese gli Issedoni, dagli Issedoni gli Sciti; e i Cimmeri, che abitano sul mare australe, premuti dagli Sciti, abbandonarono il paese" (IV, 13). Ecateo di Abdera (IV-III sec. a. C.), autore di un'opera Sugli Iperborei di cui ci son pervenuti solo alcuni frammenti, li colloca anch'egli a nord, in un'isola dell'Oceano "non minore della Sicilia per estensione". Su questa isola, dalla quale и possibile vedere la luna da vicino, i tre figli di Borea rendono culto ad Apollo, accompagnati dal canto di una schiera di cigni originari dei Monti Rifei.

Altre citazioni si trovano nel primo Inno a Dioniso pseudomerico, in Pindaro, in Eschilo, in Diodoro Siculo, in Luciano. Da parte sua, Strabone colloca gli Iperborei tra il Mar Nero, il Danubio e l'Adriatico: "Tutti i popoli verso nord ebbero nome, da parte degli storici greci, di Sciti o Celtosciti, ma gli scrittori dei tempi ancora piщ antichi, ponendo distinzioni tra loro, chiamavano Iperborei quelli che vivevano intorno al Ponto Eusino, all'Istro e all'Adriatico" (Geografia, 11, 6, 2).

Tra i latini, troviamo questo passo di Virgilio: "tale и la gente selvaggia che sotto l'iperboreo Settentrione viene sferzata dal vento rifeo e si avvolge il corpo in fulve pellicce di animali" (Georgiche, 3, 381-383). Ma la testimonianza piщ ricca и quella di Plinio il Vecchio: "Poi ci sono i Monti Rifei e la regione chiamata Pterophoros per la frequente caduta di neve, a somiglianza di piume, una parte del mondo condannata dalla natura ed immersa in una densa oscuritа, occupata solo dall'azione del gelo e dai freddi ricettacoli dell'Aquilone. Dietro quelle montagne e al di lа dell'Aquilone, un popolo fortunato (se crediamo), che hanno chiamato Iperborei, vive fino a vecchiaia, famoso per leggendari prodigi. Si crede che in quel luogo siano i cardini del mondo e gli estremi limiti delle rivoluzioni delle stelle, con sei mesi di chiaro e un solo giorno senza sole; non, come hanno detto gl'inesperti, dall'equinozio di primavera fino all'autunno: per loro il sole sorge una volta all'anno, nel solstizio d'estate, e tramonta una volta, nel solstizio d'inverno. И una regione luminosa con clima mite, priva di ogni nocivo flagello. Hanno per case boschi e foreste, venerano gli dиi profondamente e in comune, la discordia e ogni malattia sono loro ignote. Non c'и morte, se non per sazietа di vita, dopo i banchetti e nella vecchiaia colma di conforto; si gettano in mare da una rupe: questo tipo di sepoltura и il piщ felice (..). Non si puт dubitare di quel popolo: tanti autori tramandano che essi sono soliti inviare a Delo, ad Apollo, da loro venerato tra tutti, le primizie delle messi. Le portavano alcune fanciulle, venerate per alcuni anni dall'ospitalitа dei popoli, finchй, essendo stato violato il patto, essi decisero di deporre le sacre offerte sui confini degli abitanti piщ vicini, affinchй questi le passassero ai loro vicini, e cosм fino a Delo" (Naturalis Historia, IV, 88-91).

A nostro parere, un'eco del tema iperboreo potrebbe essere individuata nella stessa Odissea. Come и stato osservato, "il primo autore classico in cui l'idea di Settentrione sembra assumere connotazioni riducibili a termini reali и l'autore dell'Odissea i cui versi danno un'idea precisa di che cosa significasse il Nord per i Mediterranei. Quando Ulisse scende agli inferi ne trova l'ingresso nel paese dei Cimmeri, oscuro e gelido. Sia della Cimmeria che di Lestrigonia, dove d'estate regna la luminositа continua, Omero aveva avuto notizia tramite i mercanti che frequentavano i porti del Mar Nero settentrionale, dove i Greci si erano stabiliti a partire dall'VIII secolo" (1). In realtа, di ciт che accade nelle zone settentrionali del globo terrestre i Greci poterono avere notizia giа in etа micenea, quando importavano l'ambra dal Baltico. Ma non и escluso che il decimo libro dell'Odissea abbia custodito un elemento relativo all'originario stanziamento dei popoli indoeuropei nella zona artica e subartica, cosм come elementi analoghi sono stati conservati dagli inni vedici, secondo quanto ha dimostrato Bвl Gangвdhar Tilak (2).

A Telepilo Lestrigonia infatti, secondo quanto dice l'aedo, "rientrando il pastore chiama il pastore, e questo uscendo risponde. Qui un uomo insonne (аypnos) riscuoterebbe due paghe: una pascolando buoi, l'altra pascolando candide greggi; infatti sono vicini i sentieri della Notte e del Dм" (Od., X, 82-86). In altre parole, un pastore che fosse in grado di rimanere continuamente sveglio potrebbe svolgere un doppio turno di lavoro, perchй nella terra dei Lestrigoni la durata della luce diurna и di circa ventiquattro ore. (L'immagine dei sentieri del Dм e della Notte si chiarisce in questo senso, se la confrontiamo con Esiodo, Theog., 746 ss.).

Il fenomeno descritto da Omero trova riscontro in ciт che effettivamente avviene nell'estremo Settentrione; e anche il nome di Lamo (Lаmos), citato nel brano in questione, richiama curiosamente, come и stato osservato, quello di Lamшy, un'isola vicina alle coste settentrionali della Norvegia (3). Infine, non bisogna trascurare il fatto che "Telepilo Lestrigonia" potrebbe benissimo significare "Lestrigonia Porte-Lontane", nel qual caso avremmo un sintagma analogo ad "ultima Tule".

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Un antico testo taoista, il Lieh-tzu o Vero libro della sublime virtщ del cavo e del vuoto, contiene una lunga descrizione di un paese, il regno dell'Estremo Settentrione, che si trova a nord del mare settentrionale, "non so a quante migliaia o decine di migliaia di li dalle province centrali". Questo paese, in cui le condizioni climatiche sono miti ("non c'и vento e pioggia, gelo e rugiada"), "non dа vita ad uccelli e ad animali, ad insetti e a pesci, ad erbe e ad alberi". La geografia di questo paese richiama, per alcuni versi, certe descrizioni del paradiso: "Tra i quattro lati и completamente piatto ed и circondato da ripide colline. Nel mezzo del regno c'и una montagna a forma di orcio, chiamata Hu-ling, sulla cui sommitа c'и un orificio a forma di braccialetto rotondo, detto Antro dell'Abbondanza, dal quale zampilla un'acqua chiamata Polla Sovrannaturale: ha un odore piщ forte di quello delle orchidee e delle spezie, un sapore piщ forte di quello del mosto. Questa sola sorgente, dividendosi, forma quattro corsi d'acqua, che fluiscono verso il basso della montagna e scorrono ad irrigare tutto il paese".

Gli abitanti dell'Estremo Settentrione, prosegue il Lieh-tzu, vivono una vita felice. "Essendo di carattere gentile e compiacente, non litigano e non contendono; avendo il cuore molle e le ossa deboli, non sono alteri nй servili; vivendo separati anziani e giovani, non hanno principi nй sudditi; andando frammisti uomini e donne, non hanno paraninfi e sponsali; vivendo in vicinanza dell'acqua, non arano e non seminano; essendo il clima mite e uniforme, non tessono e non si vestono. Muoiono a cent'anni, senza morti premature o malattie; il popolo si moltiplica a iosa, gode di piaceri e di gioie e non conosce decadimento e vecchiaia, tristezza e dolore. Per costume sono amanti della musica e, prendendosi per mano, cantano a turno senza mai smettere per tutto il giorno. Quando hanno fame e sono stanchi, bevono alla Polla Sovrannaturale e ne sono rinfrancati nelle forze e nella volontа, se eccedono si ubriacano e tornano sobri dopo dieci giorni. Bagnandosi nella Polla Sovrannaturale, la loro pelle diviene liscia e lucida e la fragranza svanisce solo dopo dieci giorni" (4).

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I temi del paradiso iperboreo e dell'origine polare, attestati nelle forme tradizionali piщ antiche, si ripresentano congiuntamente, in modo definitivo, nella forma tradizionale piщ recente, quella islamica, la quale ha situato nell'estremo Settentrione la "terra celeste" di Hыrqalyв. Questa dottrina, esposta nell'etа contemporanea dalle scuole sciite shaykhо e ishrвqо, riprende il tema mazdaico della "Terra trasfigurata": infatti il geografo Yaqыt affermava che il monte Qвf, la "madre di tutte le montagne" da cui parte la via polare verso Allвh, un tempo si chiamava Alborz. Henry Corbin, da parte sua, avverte che l'Oriente di cui parla la cosmologia di Avicenna deve essere cercato nella "dimensione polare", e non nell'est indicato dalle nostre carte geografiche. "Infatti - spiega Corbin - questo Oriente и il polo celeste, il 'centro' di ogni orientamento concepibile. Bisogna cercarlo nella direzione del Nord cosmico, quella della 'Terra di luce'" (5). Nel suo Libro dell'Uomo Perfetto (Kitвb al-insвn al-kвmil), cAbd al-Karоm al-Jоlо (1365-1403) parla di un luogo che in Corano, VII, 44 e 46 и designato col nome di al-Acrвf ("le Altezze") e in LIV, 55 и definito "soggiorno di veritа, presso un re potente". Chi dimora in questo luogo и un "desto", un "vegliante" (in arabo yaqzвn, equivalente all'omerico аypnos); d'altronde il vicino paese dell'angelo Yыh, sul quale regna Sayyidn`в al-Khidr, и il paese del sole di mezzanotte, nel quale non vige l'obbligo della preghiera rituale della sera (salвt al-maghreb), perchй ivi l'alba precede il tramonto.

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"Dov'era, dove non era, di lа dai sette paesi e un settimo, di lа dalla Montagna di Vetro, di lа dal mare di Operencia, c'era una volta..." (6) Nel motivo dei "sei paesi e un settimo" (hetedhйtorszбg) o dei "sette mondi" (hйtvilбg), che compare nel consueto incipit delle fiabe popolari ungheresi, il folclore magiaro ha conservato il residuo fossile di un elemento di dottrina tradizionale ampiamente diffuso nelle culture dell'Eurasia. I "sette paesi" o "sette mondi" della tradizione magiara trovano infatti riscontro nella geografia sacra dei Purвna indщ, che parlano di sette dwоpa, cioи di sette "isole" continentali emerse l'una dopo l'altra. Ma il motivo delle "sette terre" и presente anche nella geografia tradizionale iranica, la quale distingue sette keshvar (avest. karshvar), sette "climi", che sono in realtа sette zone della Terra. Il keshvar centrale, che rappresenta lo spazio terrestre attualmente accessibile agli uomini, и stato a sua volta suddiviso (per esempio da al-Bоrыnо) nelle sette regioni seguenti: 1) India, 2) Arabia e Abissinia, 3) Siria ed Egitto, 4) Iran, 5) Bisanzio e mondo slavo, 6) Turkestan, 7) Cina e Tibet. Nell'esoterismo islamico, le "sette terre" rappresentano sette diverse categorie (tabaqвt) dell'esistenza terrena: ciascuna и governata da un Polo (Qutb) e i sette Poli sono subordinati al Polo Supremo (al-Qutb al-Ghawth). Ai sette Poli dell'Islam (ai sette rsi dell'India, ai sette saggi dell'antichitа greca ecc.) corrispondono i sette Magyar (hetumoger) di cui parlano le Cronache medioevali, i hйt vezйr delle tribщ ugriche guidate da Бrpбd.

Di lа dai "sette paesi", di lа dai "sette mondi", tra gli altri personaggi fiabeschi c'и anche il Forte Giovanni (Erцs Jбnos, Erцs Jancsi). In questo personaggio (che corrisponde al Batyr Ivan delle favole ciuvasse e allo Starker Hans di quelle tedesche) troviamo il riflesso fiabesco di tutta una serie di mitici "fanciulli divini", alla quale, come ha mostrato Kбroly Kerйnyi (7), appartengono anche il Kullervo del Kalevala e il Mir-susne-hum della mitologia vogula. Alcune favole raccontano che il Forte Jбnos и figlio di una vedova, come Parsifal, come Mani; altre dicono che non ha nй padre nй madre: come Melchisedec (Ebrei, 7, 3), che alcuni identificano con Sayyidnв` al-Khidr. D'altronde, la figura del "fanciullo divino" allude anch'essa a un'archй; e spesso a questa archй si accompagnano riferimenti "polari" ed iperborei.

In una favola il Forte Jбnos si fa obbedire da un orso che egli ha trovato nella foresta; alcune varianti spiegano l'eccezionale forza fisica del ragazzo attribuendone la paternitа ad un orso. E' noto che il simbolo dell'orso corrisponde, in una delle sue valenze, al Nord: ce lo ricorda l'Orsa Maggiore, ma anche la terminologia geografica ed astronomica relativa al Nord, che in varie lingue trae origine dal greco аrktos ("orso"). Ma, secondo la tradizione indщ, la settentrionale "terra dell'orso" era stata precedentemente la "terra del cinghiale", Vвrвhо, perchй il cinghiale (in sanscrito varвha) simboleggia la terza "discesa" di Vishnu nell'attuale manvantara, ossia nel presente ciclo di umanitа. Tale cambiamento di denominazione, spiega Renй Guйnon, sarebbe l'effetto di una rivolta della casta guerriera contro quella sacerdotale, rivolta alla quale pose termine il sesto avatвra di Vishnu, Parashu-Rвma.

Ora, se il Forte Jбnos si limitasse a sottomettere l'orso, il suo ruolo sarebbe identico a quello di Parashu-Rвma e l'eroe della favola ungherese sarebbe una variante folclorica della figura dell'avatвra. Anzi, per rimanere in ambito ugrofinnico, Jбnos si identificherebbe con Mir-susne-hum, che insegue l'orso e lo sconfigge. Ma Jбnos riunisce intorno alla propria persona sia l'orso sia i cinghiali, quasi a dimostrazione del fatto che "i due simboli del cinghiale e dell'orso non appaiono sempre necessariamente in opposizione o in lotta, ma, in certi casi, possono anche rappresentare l'autoritа spirituale e il potere temporale, o le due caste dei druidi e dei cavalieri, nei loro rapporti normali e armonici" (8). Dunque, se l'abbinamento dei simboli in questa favola non и casuale, essa dovrebbe alludere a un'epoca remota in cui tra le due funzioni esisteva ancora una perfetta armonia.

Infine, un'osservazione sul nome del protagonista. Nel suo studio sulla "Dacia iperborea" (9), Geticus (alias Vasile Lovinescu) ha riportato il nome Ion (Giovanni), che secondo la sua interpretazione designa il "Re del Mondo" nella tradizione popolare romena, al nome di Janus, il dio che regnт sul Lazio nell'etа dell'oro. Ma si potrebbe aggiungere che il latino Janus, indipendentemente da ogni considerazione propriamente etimologica, presenta una curiosa assonanza anche con l'ungherese Jбnos; e a questa fortuita analogia fonetica tra i due nomi si aggiunge una analogia sostanziale tra le due figure, perchй tanto il bifronte Janus quanto lo Jбnos dominatore di orsi e cinghiali rappresentano un'unitа primordiale non ancora dissociata nella dualitа.

La tesi di Geticus-Lovinescu и nota. A suo parere la Dacia sarebbe stata, in un certo periodo dell'antichitа, la sede di un centro spirituale di origine iperborea; in altri termini gl'Iperborei, spostandosi dall'originaria sede settentrionale verso il sud, avrebbero sostato nel territorio compreso tra il Danubio e i Carpazi e ne avrebbero fatto una loro sede secondaria. Al fine di suffragare un tale assunto, l'autore della Dacia iperborea passa in rassegna un vasto materiale documentario, desunto sostanzialmente dall'opera di Densuзianu (10): il folclore, la toponomastica, la numismatica, le fonti greche e latine, la stessa storia dei Principati romeni secondo Geticus-Lovinescu avvalora l'ipotesi per cui la tradizione dacica sarebbe sopravvissuta fino a tempi relativamente recenti.

Geticus-Lovinescu espose tali vedute in una serie di articoli che apparvero su "Йtudes Traditionnelles" tra il 1936 e il 1937. Questi scritti hanno avuto piщ ampia risonanza cinquant'anni piщ tardi, quando, in seguito all'edizione italiana del 1984 e a quella francese del 1987, Vintila Horia ne parlт con ammirazione, mentre in Romania Virgil Candea ebbe modo di richiamare l'attenzione sull'immagine della Dacia arcaica tracciata da "B.P. Hasdeu, Nicola Densuзianu, Mihail Sadoveanu, Matila Ghyka, Mircea Eliade, Mihai Valsan, Mihai Avramescu, Vasile (e anche Horia) Lovinescu, Nichita St[nescu, per citare soltanto quegli autori scomparsi che hanno coltivato la philosophia perennis con mezzi, ambizioni e risultati differenti" (11). L'edizione francese, in particolare, destт l'interesse di studiosi quali Charles Ridoux e Paul Georges Sansonetti; quest'ultimo, allievo di Henry Corbin e Gilbert Durand, tenne alla Sorbona un corso sulla "Dacia iperborea".

Le indicazioni contenute nella Dacia iperborea hanno ricevuto un certo sviluppo in Russia, negli scritti di Aleksandr Dugin, che giа nel 1991 faceva circolare in samizdat una sua Giperborejskaja teorija (12). Scrive Dugin: "La 'Dacia iperborea' di Geticus rappresenta il polo comune di due circoli opposti: il circolo meridionale mediterraneo e il circolo settentrionale (..) russo-slavo (nel quale rientrano anche le componenti balto-scandinave). (..) Comunque sia, la 'Dacia iperborea' rappresentava il limite meridionale della Gardarika-Russia iperborea, concentrando in sй le energie sacrali del Nord e i motivi mitici iperboreo-solari. Perт, la sua posizione intermedia tra i due circoli suddetti fa sм che essa svolga una funzione davvero particolare all'interno della 'economia del sacro', sicchй si spiega in parte il radicarsi delle tendenze iperboree sul territorio romeno" (13). Sempre in Russia, nel 1997 Valerij Diomin ha guidato una spedizione scientifica nella Penisola di Kola, dove sono stati scoperti i resti di una civiltа che dovrebbe risalire a ventimila anni fa. Riferendosi ai risultati di quella spedizione, la stampa russa annunciava che l'Iperborea, "culla di tutti i popoli indoeuropei (..) non soltanto и esistita, ma si trovava sul territorio del Settentrione russo" (14).



1 Luigi De Anna, Conoscenza e immagine della Finlandia e del Settentrione nella cultura classico-medievale, Turun Yliopisto, Turku 1988, pp. 17-18.

2 Bвl Gangвdhar Tilak, The Arctic Home in the Vedas, trad. it. La dimora artica nei Veda, Ecig, Genova 1986.

3 Felice Vinci, Homericus nuncius. Il mondo di Omero nel Baltico, Solfanelli, Chieti 1993, p. 45.

4 Testi taoisti, trad. di F. Tomassini, Utet, Torino 1977, pp. 275-276.

5 Henry Corbin, Corpo spirituale e Terra celeste, Adelphi, Milano 1986, p. 94.

6 Cfr. Anikу Steiner, Sciamanesimo e folclore, Edizioni all'insegna del Veltro, Parma 1980, p. 26.

7 Carl G. Jung e Kбroly Kerйnyi, Prolegomeni allo studio scientifico della mitologia, Boringhieri, Torino 1972.

8 Renй Guйnon, Simboli della Scienza sacra, Adelphi, Torino 1975, pp. 150-151.

9 Geticus, La Dacia iperborea, Edizioni all'insegna del Veltro, Parma, 1984.

10 Nicolae Densusianu, Dacia preistorica, editia a II-a, studiu introductiv si note de Manole Neagoe, Editura Meridiane, Bucuresti 1986.

11 Virgil Cвndea, Viziuni ale Daciei arhaice оn perspectiva istoriei ideilor, "Viata Romвneasca", nn. 2, febbraio 1990, p. 41.

12 Edizione a stampa: Aleksandr Dugin, Giperborejskaja teorija, Arktogeja, Moskva 1993.

13 Alexandr Duguin, Rusia. El misterio de Eurasia, Grupo Libro 88, Madrid 1992, pp. 67-72.

14 Vittorio Strada, Scoperta Iperborea. Nuova linfa per i neonazisti russi, "Corriere della Sera", 19 aprile 1998.

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